Dipende da “come lo dici!”

La comunicazione come capacità di entrare in relazione con… “mondi altri”
Con la Dott.ssa Caterina Steri abbiamo cercato di “destrutturare” l’ambiente dell’aula, predisposto per un “apprendimento formale”, con la cattedra da una parte e i banchi dall’altra.
Ci siamo seduti sul pavimento, in cerchio, sopra un tappeto, per evitare il freddo delle mattonelle. La Dott.ssa ci ha chiesto se avevamo vissuto ultimamente, nell’ambito del nostro gruppo-classe,  esperienze spiacevoli, delusioni, amarezze provocateci dalle parole o da un gesto, da un’espressione di qualche compagno di classe.
Dopo qualche resistenza, un nostro compagno  ha riferito di un fatto, avvenuto in classe, di cui non aveva parlato con nessuno, che lo aveva fatto star male. Ha raccontato che, nel corso di una verifica orale, due compagni , mentre lui esponeva quanto sapeva sull’argomento, bisbigliavano fra loro e, a quanto riferito da lui stesso, mettevano in evidenza, ridacchiando, i limiti della sua interrogazione (conoscenza frammentate, imprecise…). Il compagno ha ammesso di essersi sentito giudicato dai due compagni di classe, per nulla benevoli e rispettosi nei suoi riguardi.
La psicologa ha dato la parola ai due “responsabili”, i quali hanno detto che  non era assolutamenteloro intenzione  offendere il compagno, quanto, piuttosto, quello di sollecitarlo ad esporre meglio le informazioni, in modo più chiaro e approfondito, dal momento che erano sicuri che lui conosceva bene quegli argomenti .
Dopo quest’episodio, lui si era allontanato dai due compagni, non aveva esternato la sua delusione, conservando dentro di sé un certo rancore ed astio nei loro riguardi, chiedendosi il perché si fossero comportati in quel modo; i due, vedendolo così, hanno creduto che quell’atteggiamento freddo fosse attribuibile alla sua invidia nei loro riguardi, poiché avevano avuto, in quella stessa verifica, un voto più alto rispetto a lui.
Insomma, si era creato un circolo vizioso di equivoci e malintesi non chiariti che aveva creato in classe un ambiente negativo.
La Dott.ssa Steri ci ha spiegato che il  comportamento di ogni persona non è determinato dalla realtà dei fatti ma dalla nostra percezione della realtà.
Noi siamo portati a vedere gli altri in base alla percezione che abbiamo di noi stessi: se sono timido, quando una persona non mi rivolge la parola, penserò che lo faccia per superbia; poi magari scoprirò che è timida pure lei.
Fanno da barriera ad una comunicazione serena e rispettosa dell’interlocutore, per esempio.  gli stereotipi, significati che vengono dati a certi aspetti della vita che non derivano dalla esperienza diretta, ma dalle opinioni degli altri; gli stereotipi non ti fanno cogliere in modo oggettivo la realtà, ma in modo funzionale agli interessi di un certo gruppo.
Un’altra barriera alla comunicazione oggettiva è il pregiudizio, un atteggiamento sfavorevole verso qualcosa o qualcuno che difficilmente viene cambiato, neanche di fronte ad informazioni contrarie.
Le persone che nutrono pregiudizi hanno la tendenza a cercare quelle informazioni che confermano le loro convinzioni.
Pertanto, è opportuno prendere coscienza del nostro modo di essere, delle nostre “fragilità” e paure, fare autocritica relativamente ai nostri giudizi sulla realtà, in modo da non essere rigidi nel comportamento e nelle nostre scelte..
Inoltre, essere aperti e consapevoli del fatto che le nostre convinzioni non sempre derivano da una lettura realistica ed oggettiva della realtà, ci renderebbe anche più disponibili a comprendere la diversità dell’altro.
La Dott.ssa ha messo in evidenza come l’ “equivoco” tra i nostri compagni non avrebbe causato nelle persone coinvolte tanto “attrito” se una parte o l’altra avesse chiesto spiegazione, se l’uno o gli altri avessero esternato serenamente il problema.Anziché pensare “perché lo avranno fatto”, sarebbe stato opportuno chiedere loro “Perché lo avete fatto?”.
E’ sempre il dialogo tra le parti che abbatte gli equivoci . Pertanto, mai rinunciare al confronto aperto e rispettoso; Spesso in una comunicazione interpersonale pesa molto il modo come dici una cosa più che le parole che pronunci!
La Dott.ssa ci ha detto, per tornare al nostro lavoro sull’inclusione di persone straniere, che Il linguaggio del corpo, la gestualità, la mimica non sono uguali per tutti, ma assumono significati differenti nelle diverse “culture”. A volte accadono degli incidenti interculturali proprio a causa del linguaggio non verbale .
“Ignoranza”, scarsa disposizione ad allargare lo sguardo, conclusioni e giudizi avventati… sono le cause ricorrenti di questi incidenti”, ha sottolineato la psicologa.
Occorre molta umiltà nel riconoscere che esistono altri modi di fare, “visioni del mondo”..
A proposito di “Guardarsi negli occhi”, la psicologa ci ha raccontato di aver letto che in una scuola, durante un colloquio fra un docente ed un genitore cinese, ci fu un malinteso dovuto proprio all’uso di linguaggi non verbali diversi; in Italia, quando si parla con una persona, la si guarda negli occhi; quando lo sguardo non  viene contraccambiato e, anzi, è rivolto verso terra o in altre direzioni, chi sta parlando pensa che il suo interlocutore sia distratto, non lo sta ascoltando; pertanto, il docente seccato disse a quel genitore di guardarlo negli occhi mentre gli stava parlando, senza sapere che per una persona cinese tenere gli occhi bassi è segno di rispetto nei confronti dell’interlocutore.
Quanti errori evitabili se solo ci prendessimo la briga di informarci e se agissimo con umiltà e riguardo nei confronti di chi incontriamo sulla nostra strada, anziché credere che il mondo si esaurisca nel nostro quartiere, paese, città, nazione, continente…!!

La classe II A